Alla metà del XIV secolo va riferita la costruzione o, più verosimilmente, la ristrutturazione in chiave gotica della chiesa di Sant’Onofrio Eremita a San Giovanni Rotondo; l’indirizzo stilistico verso cui si orientano i costruttori deriva dalla coeva architettura religiosa diffusa in Capitanata, su base tardoromanica ma innovata dalla presenza di elementi ormai francamente “gotici” nelle membrature delle volte costolonate a sesto acuto, negli archivolti e negli elementi dei portali: chiesa a navata unica con facciata a “capanna”, ad abside estradossata (anche a Sant’Onofrio, prima del “taglio” dell’abside), a pareti nude e ampie di severa essenzialità, con copertura a tetto ligneo a capriate.
La chiesa si presenta ad una sola navata, lunga circa 38 metri per 7 metri di larghezza, e dotata di un portale più semplificato rispetto a quelli più fastosi e “goticizzanti” di chiese coeve. Sul prospetto a timpano viene realizzata una grossa rosa circolare. Nella superficie compresa all’interno della circonferenza della rosa è inserita un’ulteriore rosa di diametro minore.
A questo periodo si può riferire anche l’epigrafe di pietra calcarea, alquanto corrosa, apposta in alto al portale. Nonostante il testo sia ormai quasi illeggibile, si è lo stesso in grado di leggere in fondo alla tavola una datazione sicuramente posteriore al 1320 (dal 1320 al 1335).
All’interno della chiesa, in alto sulla parete a destra del portale, presso la balaustra della cantoria realizzata pochi decenni fa, è conservato un concio di pietra con la rappresentazione di un giglio, verosimilmente stemma araldico angioino.
Nel 1627 per volontà dei signori Michele ed Elena Cavaniglia si decise di fondare a San Giovanni Rotondo un convento domenicano, trasformando la chiesa di Sant’Onofrio in un collegio destinato in particolare a frati dell’Illiria. Nel 1630 la chiesa non era stata ancora del tutto ristrutturata e la fabbrica del collegio era alla fase grezza al punto che definitivamente nel 1652 il progetto si arenò.
Francesco Nardella riporta al 1597, data incisa sulla sommità del primo arco, la realizzazione di un primo restauro. In quell’occasione sarebbero stati messi in opera i cinque archi trasversali a tutto sesto che scandivano l’interno della chiesa in campate; tali arcate, ancora visibili ai primi del ‘900 al Beltramelli che descrisse la chiesa in stato di totale abbandono, verranno successivamente abbattute a seguito dei lavori di restauro effettuati alla fine del 1948.
Ai nostri giorni sono ancora visibili soltanto due pitture, attribuibili al maturo Trecento: la figura di un Santo e quella di un San Nicola ai cui piedi si intravede la figura del giovane Adeodato. L’interno è completamente affrescato e coperto da tetto a capriata lignea.